mercoledì 27 marzo 2013

"Il mio villaggio"


Siamo arrivati nel 1951, a luglio, io stavo per compiere sette anni e avevo due sorelle più piccole. Per mio padre voleva dire molto, aveva fatto per anni il pendolare tra Tor di Quinto e lo stabilimento Breda di Grotte Celoni.
La nuova casa popolare assegnata al villaggio Breda significava circa quattro ore di viaggio risparmiate, quattro ore in più per stare insieme, per noi che lo vedevamo per più di metà dell'anno partire e tornare col buio. Avevo aiutato, più o meno, a mettere sul camion le nostre cose, poche, contagiato dalla speranza e dall'allegria  di mio padre. Poi avevamo scalato la cabina, io e Isa sistemati come "nsesammai" barriera tra l'autista e mamma mia, che teneva in braccio Fabrizia, e mio padre era salito dietro, per evitare spostamenti e rotture di qualche suppellettile, appeso a mo' di scimmia alle corde che fermavano i mobili. 

      Quel viaggio è stato un tempo sospeso, lunghissimo, assorto, di luce accecante, stordente, teso tra la casetta di Tor di Quinto, le zie i cugini i nonni gli amichetti, e la nuova casa, sconosciuta, ma con papà più tempo con noi, struggimento che non riuscivo a definire.   
Integrarmi coi piccoli selvaggi che ho trovato alla Breda non è stato semplice; e tuttora dopo sessanta anni ogni tanto penso che una integrazione completa  non sia mai avvenuta. Loro erano "de prato", io, in un certo senso, più "di serra". 

Questi attempati signori che ora vediamo partecipare dignitosamente alle attività sociali, da ragazzini erano dei piccoli pericoli pubblici, tutti sharp-shooters della "mazzafionda", che mi  hanno propinato lezioni severe di "lancio der sercio", scazzottature h24, inseguimenti senza fine e guerre tra i lotti con rari armistizi; io ho studiato, ma c'ho avuto sempre qualche insufficenza. Intanto crescevamo... noi, le certezze invece deperivano; avevano già cominciato da qualche anno ma noi continuavamo più o meno felici le nostre scorribande nei prati entrando senza consapevolezza nell'adolescenza. 

Il momento topico e la sua efficacissima rappresentazione plastica c'è arrivato in faccia nel 1957/8 (chiedere conferma sull'anno esatto): la fila di tute blu, con dentro i nostri genitori, che camminava avvilita e incazzata avanti e indietro sulle vie Ernesto e Stefano Breda. In quel periodo la Breda Meccanica Romana, ogni sei mesi credo, comunque a intervalli abbastanza brevi, metteva per strada cinquecento operai alla volta, liquidazione e andare, passi lunghi e ben distesi. A casa l'ansia si tagliava col coltello. Qui bisogna parlare, almeno sommariamente  del contesto sociale. 

Le strategie finanziarie e aziendali, ben programmate e politicamente supportate, che hanno consentito la ristrutturazione lo spostamento e la riconversione di unità produttive così grandi, con tutti i corollari umani e sociali. E un'altra serie di fattori non programmata, spontanea, che cominciava a crescere, che ha consentito di evitare la macelleria sociale a fronte di immissioni così massicce di disoccupati sul mercato del lavoro: il famoso boom economico di cui ancora nessuno prevedeva quella crescita. Poi ne parliamo....        (continua)

Nessun commento: