mercoledì 28 dicembre 2011

THE WAY WE WERE

Ieri sera sono capitato su RAI 5, una delle poche reti che riesco a guardare, via computer, e ho cominciato a guardare; un pò annoiato all'inizio. Alla fine ho visto due servizi veramente ben fatti. 

Uno era un vero e proprio film di Giuseppe Bertolucci su un convegno dei giovani del PCI a Ravenna, primi anni settanta, l'altro era un'inchiesta abbastanza recente sui giovani di oggi,
fatta tutta attraverso le loro parole, quello che sognano, quello che vedono e pensano.  

La prima impressione, letteralmente strabiliante, era la differenza nella proprietà e ricchezza di linguaggio tra le due speci. Tutti e due i servizi erano lunghi e ben fatti, articolati su una bella varietà di tipi umani. Di quà e di là c'erano i fighetti e i proletari, quelli più scolarizzati e quelli ignorantelli, maschi e femmine, tredicenni e fino a quasi trentenni. 

C'era una gran sincerità da tutt'e due le parti, tanto è vero che a Ravenna non hanno risparmiato strillacci al Massimo D'Alema, che era allora segretario dei giovani comunisti, ma bisogna dire che lui incassava   e rispondeva con vero fair play. Quindi nessuno s'è tenuto niente nel gozzo graziaddio, ma questo nel PCI era normale.

Alla fine una gran nostalgia prima di tutto. Io in quegli anni ero di qualche anno più grande ed ero appena uscito dal PCI dopo un lungo scazzo sulla politica economica. Ma c'erano due sentimenti, anzi tre, che m'invadevano mentre scivolavo verso il sonno. Una parte grande della nostalgia era ritrovare quel modo così articolato e lucido di interloquire dei miei compagnucci di allora, anche ragazzi molto giovani.

Una gran pena invece sentire l'approssimazione e la scarsezza espressiva dei contemporanei, anche di ragazzi e ragazze sicuramente non poverelli, di ragazzi ripresi fuori dai licei, la pochezza degli obbiettivi e delle speranze, che ti sbatteva in faccia soprattutto dopo aver sentito i loro coetanei di quarant'anni fà. Noi ci siamo abituati a questo decadimento, non ci facciamo più tanto caso, ma è troppo ampio, troppo diffuso e profondo.

Ma alla fine una sensazione, una specie di flash, m'ha fatto stare male, ormai in una specie di dormiveglia: lo sbagliato, il difetto, la mancanza, nei ragazzi derubati della parola, sta soprattutto in noi, nei genitori di quei ragazzi, negli educatori. Tanti di noi hanno  naturalmente dei ragazzi bravissimi, ma qui non si parla di casi individuali, ma del degrado culturale diffuso, avvilente.   


    

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